Perché Dio permette le guerre.

Ammettendo che siamo stati creati da Dio, oppure senza neanche doverlo ammettere, sta di fatto che abbiamo, o meglio in origine avevamo, il cosiddetto "libero arbitrio", ovvero la capacità (e il dovere) di decidere di indirizzarci verso il bene o verso il male. La volontà di farci la guerra è dunque "cosa nostra". Tuttavia l'universo appare anche strutturato in maniera da restituirci le conseguenze dei nostri pensieri, parole, opere e omissioni e spesso perfino delle nostre intenzioni, sottoforma di destino personale o collettivo, conferendoci quello che ci distingue più di ogni altra cosa da ogni altro essere vivente e che dovrebbe renderci orgogliosi di possedere e grati di aver ricevuto e di poter coltivare nel miglior modo: la responsabilità di quelli.

 

Come mai nasciamo così. La famigerata reincarnazione.

Famigerata perché nel corso dei secoli, a partire dal 553 DC, data in cui avvenne un famoso concilio vaticano, ha perso sempre più di credibilità e la sua fama, aiutata da alcune credenze orientali poco precise che mischiano la nostra origine umana con quella animale e perfino a quella vegetale, somiglia, quasi come una beffa, ad un destino infausto.

Forse per noi cristiani sarebbe più consono il termine "incarnazione", cioè senza quel "re" davanti che sa tanto di esoterico e di orientale, o perlomeno darebbe meno nell'occhio, gli conferirebbe una parvenza di normalità, anche se, nella sostanza cambierebbe poco, dal momento che è proprio il concetto ad essere stravolto ormai da troppi secoli.

Durante il concilio sopramenzionato si disquisì su temi che riguardavano i nestoriani (duofisiti) e i monofisiti (corrente di pensiero successiva alla prima, che poi sopravvalse divenendo religione cristiana ufficiale), concludendosi con lo scisma detto dei Tre Capitoli, che di fatto escluse per motivi meramente politici dalla Chiesa cattolica i nestoriani e il loro credo sulla doppia natura di Cristo, cioè dell'incarnazione del suo spirito divino nel corpo di carne ed ossa, ed impose quello dell'unica natura divino-carnale.

Questa negazione della coesistenza di più "anime" nell'essere umano, ha fatto sì che per la nostra cultura occidentale andò persa l'abitudine di pensare all'uomo come ad una composizione di molteplici essenze, come una vestizione di più corpi di materialità e spiritualità differenti. Tuttavia, ciò di per sé non sarebbe neppure degno di nota, potrebbe essere tuttalpiù annoverato fra le varietà di fedi, se insieme a questa divergenza di visione e l'adozione di quella errata non fosse stata preclusa la possibilità di rispondere in maniera del tutto semplice ad alcune domande esistenziali e di tipo etico o religioso.

Il primo quesito non risolto in cui si può incappare è senz'altro quello che ci fa dubitare dell'Amore di Dio quando ci si ferma ad osservare un bimbo appena nato... magari non del tutto sano o non del tutto normale. La domanda ovvia che suscita e la cui mancanza di risposte corrette spesso allontana le persone dal Divino, si può formulare così: perché Lui ha lasciato che nascesse così, cioè non come la maggior parte dei neonati. Questo vale naturalmente per ogni condizione in cui ci si ritrova alla nascita. Se si è convinti che la vita cominci in quel momento, è naturale pensare ad un'ingiustizia. E le ingiustizie mal si sposano con Dio e la sua opera.

Per rispondere a questa domanda in un modo che non ci appaia ingiusto, possiamo ascoltare cosa rispose Gesù ad un simile quesito postogli dai discepoli quando incontrarono il cieco di cui si racconta nei vangeli. A stupirci non è solo la maniera in cui gliela pongono, che evidentemente è frutto dell'insegnamento di Lui, ma soprattutto la risposta di Gesù. Essi gli chiedono (Gv 9,2): "Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, per esser nato cieco?". Peccare? Ma se è così già da quando è nato? Cosa salta in mente ai discepoli? Verrebbe da chiedere a noi occidentali se solo usassimo una critica logica e pronta. Ed è pure la reazione che avrebbe dovuto avere Gesù, qualora la domanda fosse stata insensata. Ma ciò non accade.

Ora proviamo ad immedesimarci in un qualcuno per il quale la vita dello spirito (di uno solo, senza miscugli), non soltanto dopo la morte del corpo ma anche prima della sua nascita, è un evento naturale, in un continuo di esperienze che hanno origine dalla responsabilità dell'utilizzo del proprio libero arbitrio e che formano quella data personalità, quel dato io. Ecco che la domanda dei discepoli assume un senso. Cioè, sarà stato lui ad usare male il suo libero arbitrio, ad essersi disposto a favoreggiare il male, causando una ripercussione del destino originata dall'Amore di Dio, la quale gli faccia vivere questa situazione in maniera che possa riconoscere i suoi sbagli e redimersi ancora verso il bene? Oppure lui si è solo prestato volontariamente, per amore dei suoi genitori, a nascere in quella condizione, affinché siano loro a potersi redimere, dovendolo aiutare e soffrire insieme a lui, da antichi e maléfici indirizzamenti della loro libera volontà?

Ed ora la risposta di Gesù chiara e semplice, la quale non richiede da noi degli sforzi di comprensione, non ci chiede di "chiudere un occhio" o magari entrambi sulla correttezza di quel destino, ma soprattutto non ripudia a priori le ipotesi dei discepoli, ammettendo così in qualche caso un loro possibile epilogo nel senso da loro espresso, tuttavia le esclude entrambe aggiungendo una terza spiegazione, che suona anche come il pronostico di un nuovo avvenimento, come una promessa imminente, una possibilità che Gesù intravede in quell'istante: "Non è (più) per una sua colpa se è nato così, e neppure per colpa dei suoi genitori (che in quel caso sarebbero ancora chiamati ad accudirlo), ma è così affinché si manifestino in lui le opere di Dio". E difatti Gesù è in grado di guarirlo, prima di tutto interiormente, riscattando così immediatamente il suo destino (che magari avrebbe impiegato anni a fare il suo corso ed invece dopo l'intensa esperienza dell'incontro con il Figlio di Dio non avrebbe più senso poiché rivolto ad una disposizione interiore ormai risolta, di più, diverrebbe a sua volta ingiusto), quello dei genitori e palesando a tutti noi, a distanza ormai di millenni, la potenza e l'Amore del Padre Suo.

Estratto dal Messaggio del Gral:

"Tuttavia, quando egli modifica volontà e intuizioni, ne risultano immediatamente forme nuove, mentre quelle anteriori, non più alimentate a causa del mutamento di volontà, sono costrette a deperire e a disperdersi. Così l’uomo muta anche il proprio destino."
...
"Dove in un uomo è già sorta la volontà del bene, per grazia, a causa della sua buona volontà, succede molto spesso che una grave malattia propria, la quale avrebbe dovuto colpirlo come karma nell’effetto di ritorno, venga anticipatamente riscattata, se liberamente si prenda cura con abnegazione, di un fanciullo altrui o del proprio.
Un riscatto vero può avverarsi solo nell’intuizione, nell’intensa esperienza vissuta. Nell’esercizio di una cura amorosa l’esperienza intima è spesso più profonda che non durante una malattia propria. E più profonda nell’angoscia, nel dolore durante la malattia del figlio o di un’altra persona cara che si considera veramente prossimo. Altrettanto intensa è la gioia alla sua guarigione.
E solo queste esperienze intensamente vissute lasciano tracce profonde nell’intuizione, nell’uomo spirituale, trasformandolo così e recidendo, con questa trasformazione, i fili del destino che altrimenti l’avrebbero ancora colpito.
Recisi o lasciati cadere, i fili scattano in senso opposto, come un elastico teso, essendo ora attirati unicamente dalla forza d’attrazione delle centrali eteree affini. Con ciò viene escluso ogni ulteriore effetto sull’uomo ormai trasformato, mancando la via di comunicazione.
Così vi sono mille modi di redenzione in questa forma, quando un uomo assume spontaneamente e volentieri, per amore, un qualunque dovere verso altri."

Abd-ru-shin

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